Giovedì 23 febbraio le classi 4^ AUT A e 4^ MEC B hanno partecipato a un incontro testimonianza con il professor Emilio Fatovic, profugo istriano.
Il professore non ha fatto una semplice lezione di storia, ma ha portato la toccante testimonianza di un settantacinquenne che quei fatti li ha vissuti.
Gli studenti hanno anche potuto riflettere su cosa vuol dire trovarsi coinvolti in una guerra ed essere costretti a lasciare il proprio paese e vivere da profughi.
Alcuni studenti hanno letto due poesie come introduzione alla toccante testimonianza:
ESULE
Andavo con le mie scarpe rotte
consumate dal lungo cammino
ho lasciato tutto
casa, affetti, le mie radici
- ma non perché lo volevo-
Ora sono un esule
e ricerco ciò che avevo
ciò che sono stato...
ma rimane solo la valigia rotta
come muto testimone.
(Elena Sbrizzai)
LA CACCIATA
La cacciata dal tuo Paradiso ti colse che avevi otto anni.
Partisti con un cappottino azzurro e le calzette bianche
inamidate, lasciandoti alle spalle una capretta,
il bastardino che latrava ancora,
il cardellino appena liberato
fra lombi di scogliera in faccia al sole.
Partisti con un cappottino azzurro, lo sguardo assorto
e il pesciolino rosso nella tazza della prima colazione:
a ogni nuovo scossone del treno il pesciolino rosso
sussultava, e tu legavi a filo d'apprensione
il suo annaspare a pelo d'acqua smossa, la lotta
a contrappasso dalla tua.
Il pesce sopravvisse a quel viaggio
ma non al campo profughi, all'arrivo:
gli scavasti una fossa col cucchiaio
- un sogno di conchiglia, un guscio duro-
a un angolo ondulato di lamiera
che conteneva intimità divelte
fingendo di poter fare da muro.
Poi altri campi profughi, altre vite,
la cerca di una tana alle ferite, l'approdo
a una laguna sconosciuta, la calle lunga
in seno alla Giudecca.
Solo un ricordo, il pesce nella tazza.
Il viaggiatore sceso e mai tornato.
La vecchia ebrea inghiottita dalla notte.
Solo un ricordo, i tanti in lunghe file.
I semi che tuo padre portò appresso
-avvolti in cuore al fazzoletto bianco-
divennero un canneto lungo il Sile.
(Antonella Sbuelz)